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MARISE FLACH

Nata a Garches, vicino a Parigi, dopo il Liceo frequenta la Scuola d’Arte Drammatica E.P.J.D. (Education pour le jeu dramatique).

Nel 1949 entra nel gruppo di Etienne Decroux – il grande mimo e attore teatrale e cinematografico francese, maestro di Barrault e Marceau, definito da Gordon Craig il riscopritore del mimo – partecipando a diversi suoi spettacoli in Francia e altre nazioni.

Dal 1953, prima come assistente di decroux, quindi come titolare, si dedica all’insegnamento del mimo nella Civica Scuola d’Arte Drammatica di Milano.

Come mimo-coreografa collabora a molti spettacoli di prosa, in particolare ai prestigiosi allestimenti del regista Giorgio Strehler e Orazio Costa al Piccolo Teatro di Milano – dai brechtiani L’anima buona di se-Zuan (con Paola Borboni, Valentina Fortunato, Marcello Moretti), Vita di Galielo (con Tino Buazzelli), Santa Giovanna dei Macelli (con Valentina Cortese, Glauco Mauri), L’opera da tre soldi (con Milva, Gianrico Tedeschi, Domenico Modugno, Giulia Lazzarini) ai scespiriani Il gioco dei potenti (con Valentina Cortese, Luciano Alberici, Franco Graziosi), Re Lear (con Tino Carraro, Renato De Carmine, Ottavia Piccolo), La Tempesta (con Tino Carraro, Giulia Lazzarini, Michele Placido) ai goldoniani Le baruffe chiozzotte (con Lina Volonghi, Carla Gravina, Tino Scotti, Giulio Brogi, Corrado Pani), Il campiello (con Anna Maestri, Didi Perego, Camillo Milli), ai pirandelliani I giganti della montagna (con Valentina Cortese, Marisa Fabbri, Turi Ferro), La favola del figlio cambiato (con Valentina Fortunato, Ferruccio Soleri, Enzo Tarascio) al recente El nost Milan di Bertolazzi (con Tino Carraro, Mariangela Melato, Gianfranco Mauri, Narcisa Bonati, Franco Graziosi) – e di altri autorevoli registi, quali l’Orestea di Eschilo, diretta da Luca Ronconi a Belgrado e Medea di Euripide diretta da Franco Enriquez a Monaco.

Per la lirica collabora, tra l’altro, all’allestimento di Simon Boccanegra di Verdi, L’amore delle tre melarance di Prokofiev, Woyzeck di Berg al Teatro della Scala; de Il flauto magico di Mozart a Salisburgo.

Con Angelo Corti realizza e partecipa a diversi spettacoli di mimo, anche televisivi.

Marise Flach ha educato alla difficile arte dell’espressione mimco-gestuale, con la sua tecnica raffinata, l’inesauribile fantasia, la dedizione e discrezione operativa, l’umanissima perspicacia, il gusto e la prontezza delle sue realizzazioni, numerosi attori, mimi e registi ormai noti e apprezzati nel campo teatrale, cinematografico e televisivo.

Con ANTIGONE DI SOFOCLE di Brecht firma la sua prima regia teatrale.

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SOFOCLE

Nato ad Atene nel demo di Colono, verso il 496 a.c., fu scelto giovanissimo per la sua bellezza a guidare il coro degli efebi che festeggiò la vittoria greca a Salaminasui Persiani (480); ebbe un’educazione ragguardevole, da principio interpretò anche alcune sue tragedie.

Partecipò alla vita pubblica della sua città come seguace prima di Cimone, poi di Percile. Rivestì cariche importanti: fu tra l’altro stratega durante la guerra contro Samo, nel 441, in seguito alla vittoria riportata quell’anno con l’Antigone nel concorso drammatico.

Compose 130 drammi, nell’arco di un sessantennio di fortunata attività: la sua prima vittoria è del 468; e ne seguirono ancora una ventina. Morì nel 406, e fu venerato come un eroe con un santuario e con sacrifici annuali.

Ci restano di lui sette tragedie: Alace, Antigone (441), Edipo re, Elettra, Trachinie, Filottete (409), Edipo a Colono (rappresentata postuma, nel 401) e il dramma satiresco I segugi.

BERTOLT BRECHT

Nato ad Augsburg in Baviera nel 1898, iniziò la sua attività di scrittore nel primo dopoguerra, componendo ballate e poesie di carattere popolaresco che egli stesso cantava in pubblico accompagnandosi con la chitarra. Il suo primo dramma rappresentato fu Tamburi nella notte, che meritò nel 1922 il Premio Kleist. In seguito a questo successo BRECHT si trasferì a berlino, dove venne a contatto con gli uomini e le idee del teatro d’avanguardia tedesco (soprattutto il regista Erwin Piscator), e iniziò la collaborazione, che doveva protrarsi per molti anni, con i musicisti Kurt Weill e Hans Eisler. Sono di questo periodo Santa Giovanna dei Macelli, La Madre, L’opera da tre soldi (forse il suo dramma più famoso), Un uomo è un uomo e Mahagonny. Con l’avvento del nazismo al potere nel 1933, comincia per BRECHT un lungo periodo d’esilio che lo porta successivamente in Francia, Danimarca, Finlandia, Unione Sovietica, e infine negli Stati Uniti dove soggiornerà fino al 1946. In ciascuno di questi paesi continua la sua attività di drammaturgo, regista, romanziere; in Francia fa rappresentare I fucili di Madre Carrar, in Danimarca Teste tonde e teste a punta, due opere satiriche “d’occasione”. In Finlandia scrive Il signor Puntilla e il suo servo Matti, negli Stati Uniti collabora a varie riduzioni teatrali, adattamenti radiofonici e sceneggiature cinematografiche col poeta inglese W.H. Auden e col regista Fritz Lang. Sono di questo periodo anche L’anima buona di Se-Zuan, Madre Courage e i suoi figli, Il cerchio di gesso del Caucaso e l’allestimento di Vita di Galileo con la famosa interpretazione dell’attore Charles Laughton. Nel 1946 BRECHT viene sottoposto a processo dal Comitato per le attività anti-americane, e poco dopo ritorna in Europa, prima in Svizzera e poi, nel 1948, a Berlino Est, dove dà vita con la moglie, l’attrice Helene Weigel, al “Berliner Ensemble”, che in una trionfale tournée europea si afferma come uno dei migliori complessi teatrali esistenti. BRECHT è morto a Berlino il 14 agosto 1956.

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L’OPERA

In STORIA DI ANTIGONE (Ed. De Donato, Bari, 1977), Cesare Molinari afferma che, pur non alterando la cronologia dell’azione, pur mantenendo intatta la struttura del modello greco, pur adeguando il suo linguaggio a quello della versione del poeta tedesco Johann Christian Friedrich Hölderlin (1804), di cui ricalca almeno un quarto dei versi, BRECHT introduce in ANTIGONE DI SOFOCLE (scritta nel 1947 e rappresentata in prima assoluta a Coira con la sua regia nel 1948, protagonista Helen Weigel) un’innovazione sostanziale, che sposta il registro interpretativo dell’opera – definita da Hegel esempio assoluto di tragedia – dal piano etico-religioso sofocleo in cui la legge morale è contrapposta da Antigone a quella codificata, sostenuta da Creonte, al piano politico-ideologico.

BRECHT attribuisce all’azione premesse diverse e un diverso antefatto: i due fratelli di Antigone, non più rivali, appartengono allo stesso esercito: ma Eteocle muore combattendovi da valoroso, Polinice vilmente abbandonandolo.

La guerra, che per Creonte costituisce il fondamento stesso del potere, è il tema dominante della rielaborazione brechtiana: essa non ha motivazioni difensive, ma economicamente aggressive; la vittoria non è apportatrice di gloria e libertà, ma semplicemente di bottino (infatti l’attributo megalonymos, ossia dal grande nome, coniato da Sofocle e da Hölderlin tradotto in bgrossnahmige, è trasformato da BRECHT in grossbeutige, che significa appunto dal grande bottino).

Antigone oppone nella rielaborazione brechtiana un esempio di rifiuto a quello di terrore dato da Creonte, e dare un esempio significa mettersi sul piano di un’opposizione non più individuale ma politica.

Creonte deve accettare lo scontro su questo piano diventando, da accusatore, accusato: Antigone infatti non gli contrappone soltanto la propria visuale politica, che esclude iolenza e schiavitù; ne sostiene anche la superiorità in ordine alla grandezza e all’indipendenza della polis.

Antigone non comprende perché i vecchi del coro non raccolgono il suo ammonimento sulla guerra che produce altra guerra, in una catena alla cui fine è la rovina, e contro chi usa violenza agli altri, in quanto la userà anche alla propria gente; non comprende che la cuasa di ciò non può esser attribuita solo al terrore: essa infatti non ha sentito l’esaltazione della vittoria dal ricco bottino.

La morte di Antigone e quella di Emone non rappresentano la punizione di Creonte ma soltanto il sigillo della sua sconfitta. Né la condanna di Antigone è stata la causa di tale sconfitta: la rovina di Creonte è la rovina di ogni sistema basato sull’oppressione e sul terrore, e l’implicazione storica è talmente presente che l’analisi della casualità specifica passa in secondo piano rispett o all’evidenza del parallelismo tra i fatti narrati e quelli attuali. Neppure si tratta della rovina del solo Creonte: anche Tebe cadrà, ma prima di tutti, quelli che hanno reso possibile e appoggiato la sua politica e la sua guerra. Nella storia dell’attività registica e teorica di BRECHT la rappresentazione svizzera di ANTIGONE DI SOFOCLE riveste un’importanza particolare perché in quell’occasione il drammturgo tedesco definì la teoria del modello scenico: una elaborata e chiara documentazione di uno spettacolo offerto come esempio entro certi limiti vincolante per rappresentazioni successive, che si inserirebbero così nella linea di un processo creativo il quale dovrebbe sostituirsi ad atti sporadici e anarchici, caratteristici di un’epoca in cui solo la novità viene apprezzata.

L’Antigonemodell, oltre al saggio introduttivo sull’idea appunto di modello e alla sommatoria descrizione della scenografia e dei costumi, comprende una serie di annotazioni sulla gestica degli attori in alcuni passi particolarmente rilevanti.

La prima rappresentazione di ANTIGONE DI SOFOCLE realizzata dal Living Theatre, con Julian Beck e Judith Malina, risale al 1967 a Krefeld, in Germania.

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