Banchi rotti, cuori infranti

Testata
L'Espresso
Data
25 dicembre 1983
Firma
Rita Cirio
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Ai tempi di Feydeau il problema drammaturgico era quello di costruire un meccanismo che facesse finire l’amante dentro l'armadio all'arrivo del coniuge. Nel dopo-Beckett i personaggi son già chiusi dentro un armadio, o in qualche ambiente altrettanto claustrofobico, e non paventano l'arrivo di coniugi gelosi ma aspettano ansiosi che giunga qualcosa o qualcuno che naturalmente non si farà vivo e che è in odore di metafisica. Se arrivasse, si troverebbe a disagio perche l'ambiente è per lo più di un naturalismo esasperato e piuttosto che a Beckett fa pensare a Zola. Anziani coniugi reclusi in una casa di campagna "lontano dalla città" (di Jean Paul Wenzel), due poveracci asserragliati in un palazzo fatiscente e terremotato senza "Uscita di emergenza" (di Manlio Santanelli), balordi di mezza tacca che preparano un colpo che non si farà mai ("American Buffalo" di David Mamet), teppisti chiusi in una classe ingovernabile in attesa di un professore che racconti loro come va a finire tra Antonio e Cleopatra ("Nemico di classe" di Nigel Williams).

Oltre a Zola e a Beckett, i sei vandali di "Nemico di classe" fanno venire in mente anche De Amicis, i buoni sentimenti riescono a far sentire la loro voce anche in mezzo al casino dell'hard rock, dei banchi sfasciati, delle risse: il professore tanto atteso è, ahimè, il Redentore che la società ostile o indifferente, o tutte e due le cose insieme, nega ai suoi figli scomodi.

Nell'attesa vana di un docente, i sei coatti salgono in cattedra a turno a fare lezione di sesso, di giardinaggio, di cucina, di odio per i terroni, di rottura di vetrine, di rissa. L'ingovernabilita della 5 C, “C come cazzo” dice il capoclasse-capobanda, in una delle migliori regie di Peter Stein si traduceva in scena in una frantumazione di comportamenti che mettevano lo spettatore nella condizione angosciosa di un eventuale professore, impotente a tenere sotto controllo il palcoscenico-aula dove ognuno degli attori si prodigava in una mimesi con il suo personaggio tale da ricongiungere l'Iperrealismo con l'Actor's Studio.

Gli attori del Teatro dell'Elfo, guidati da Elio De Capitani regista e traduttore di "Nemico di classe", hanno trasportato la scuola dell'inglese Nigel Williams alla periferia di Milano; hanno tradotto nell'hinterland non solo il linguaggio ma gesti, azioni, con un'attenzione e un'intensità che sconfina nel saggio antropologico. In un testo come "Nemico di classe" la recitazione è fondamentale e fondamentale è che appaia il meno possibile "recitazione": perché lo spettatore stia al gioco (di massacro, vero o fasullo poco importa) deve essere ingannato da un trompe-l'oeil teatrale, credere di esserci davvero in quella classe disastrosa e disastrata, in mezzo a banchi sfasciati e a cuori infranti. Forse l'impresa poteva riuscire solo a un gruppo milanese o almeno non romano. Ve li immaginate degli attori allevati nelle cantine romane fingersi ragazzi di vita, a scuola, con i loro birignao da cantinari? Inevitabile sarebbe apparso il fantasma di Pasolini. Ai giovani attori dell'Elfo il trompe-l’oeil è riuscito benissimo e per arrivare a quel tipo di recitazione apparentemente non recitata, si intuisce che han fatto un lungo e appassionato lavoro di purificazione. Anche per scordarsi di essere attori.

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