Esser uomini così, per ridere

Presentato al Duse di Genova «Comedians» di Trevor Griffiths
Magistrale prova del Teatro dell’Elfo
Nel testo dell’autore inglese una metafora sulla lotta per la vita e per il successo che ripropone anche il dilemma della fedeltà o del compromesso con le proprie idee

Testata
Il Secolo XIX
Data
24 ottobre 1986
Firma
Mauro Manciotti
Immagini
Immagine dell'articolo sul Secolo XIX

I «Comedians» sono comici di una qualità particolare che trovano spazio specialmente nel mondo dello spettacolo anglosassone. Sono qualcosa di simile agli intrattenitori di cabaret che non si pongono limiti espressivi. Possono declamare versi, raccontare barzellette, confessarsi, cantare, suonare il sassofono, parlare a vanvera, abbordare i giochi dei saltimbanchi. Possono anche recitare, ma sempre a patto che quanto recitano sia stato scritto da loro stessi. Sono, in qualche modo, i cantautori del teatro comico. Un geniale «comedian» è stato il Woody Allen degli inizi. Insomma, una categoria che da noi conta tradizioni scarse, se si eccettua il fenomeno (molto personale) di Petrolini. Pare che, in tempi recenti, una certa fioritura ne sia sbocciata a Milano, nella zona del Nviglio: artisti liberi, nomadi e intransigenti, che possono richiamare sia i solisti di jazz sia i pittori maledetti. Ma il riferimento ad una realtà sociologica inconsueta non limita la forza di coinvolgimento di un testo come «Comedians» poiché Trevor Griffiths vi porta avanti una ricognizione sulle infinite possibilità del comico ed un interrogativo sul rapporto fondamentale tra l’esperienza dell’artista e il suo distillare un linguaggio ad essa adeguato: un alfabeto, una grammatica, una sintassi, per così dire.

Raccontare il soggetto di «Comedians» è piuttosto semplice. In una scuola serale di Manchester, un vecchio attore comico conduce un corso per «aspiranti comedians». Lo frequentano sei allievi. Un muratore, uno scaricatore di porto, un lattaio, un impiegato delle assicurazioni, un ferroviere, un barista ebreo, sotto gli occhi del bidello (anch’egli con segrete vocazioni teatrali) e di un buffo pakistano. Alla fine del corso, l’esame. Non è previsto un diploma, ma la televisione invia un suo esperto per fare contratti professionali agli eventuali nuovi talenti. Senonché l’esperto ha ruggini antiche con l’insegnante, da sempre oppositore delle sue idee sulla comicità e la professione.

E i sei aspiranti comici si trovano di fronte alla necessità di scegliere altri modi espressivi, per ingraziarselo, gettando a mare la preparazione acquisita. Alcuni mutano registro, altri no. Alcuni otterranno il contratto, altri no. Nell’affabulazione generale, la commedia è una normale metafora circa la lotta per la vita e per il successo. E, come tale, tocca l’eterno dilemma del compromesso o della fedeltà alla autenticità delle proprie idee.

In sostanza, in questo testo che risale al 1975, Griffiths oppone due concezioni della comicità: quella consolatoria e, per così dire, gastronomica, e quella esplosiva, provocatrice di traumi rivelatori oppure esorcizzatrice di vecchi tabù.

La comicità qualunquistica degli stereotipi e la comicità il cui graffio incide sui fraintendimenti della società. «Meglio due risare che una» sostiene l’esperto televisivo. Il che equivale a dire che bisogna far ridere il pubblico senza impensierirlo; mentre per il vecchio professore se la comicità non fa impensierire nessuno, non si tratta di comicità. Il numero di Rizzo, il piccolo ferroviere, che impensierisce e provoca ad ogni battuta, è bruscamente liquidato dall’esperto del video che approva, invece, senza riserve, le trovate trascinanti ma asettiche del calvo Di Leo. E tra i due stereotipi dell’umorismo ebraico e napoletano, sceglie il primo che non inquadra nessuna situazione socialmente ilbarazzante e rigetta il secondo che, invece, ride su di una minuta cronaca quotidiana. Trevor Griffiths fu negli anni Settanta uno degli esponenti del giovane teatro politico inglese. Oggi, è entrato definitivamente nell’«establishement» dello spettacolo televisivo e cinematografico. Ciò ha provocato qualche commento malizioso fra i suoi colleghi. Ma è sicuro che Grifiths continui a parteggiare calorosamente per la rivoluzione.

Vedemmo «Comedians» nel luglio 1985, alla prima rappresentazione della Versiliana di Marina di Pietrasanta e, mercoledì sera, al Duse, abbiamo trovato lo spettacolo discretamente cambiato. Volutamente, il Teatro dell’Elfo ha scelto per questo testo un approccio in più tempi, a causa delle difficoltà che presentava una versione italiana. L’intelligente traduzione di Ettore Capriolo ha risolto i problemi linguistici. Ma restava da affrontare il trasferimento ad una realtà italiana del copione; c’erano da mettere a fuoco i diversi lessici della comicità degli studenti; infine, da evidenziare il nucleo dialettico tra le opposte comicità. La versione estiva aveva già superato soddisfacentemente i due scogli, traducendo in termini partenopei lo stereotipo della comicità irlandese previsto nell’originale e concedendo grande spazio inventivo ai singoli numeri comici. Rispetto ad essa, la versione odierna pare aver operato soprattutto nella direzione di evidenziarne il nucleo dialettico. Il regista Gabriele Salvatores ha ulteriormente calibrato i singoli numeri comici dell’esame, sia stringendo la durata di alcuni, sia caratterizzandoli esplicitamente nell’ordine della qualità comica che li informa.

Anche se rimane ancora un po’ lungo, ne è uscito uno spettacolo scoppiettante di intelligenza e, quanto a scatto comico, puntuale e pungente perfino più della prima edizione che pure era vivacissima. Il fatto è che pochi complessi, come questo, riescono a coagulare la generosità e gli estri individuali in una immagine collettiva di sorprendente compattezza e coerenza. Bravissimi e affiatatissimi, Paolo Rossi, Claudio Bisio, Silvio Orlando, Renato Sarti, Antonio Catania, Alberto Storti, si rimandano l’un l’altro la palla, con straordinaria naturalezza.

Gianni Paladino e Gigio Alberti (un esilarante pakistano) danno loro la replica dall’esterno; mentre Renato Carpentieri e Luca Torraca si fronteggiano dalle opposte sponde delle loro scelte sulla comicità. Teatro gremito e successo pieno.

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