Faust, un rockettaro nell’inferno-discoteca

A Brescia il testo di Edoardo Sanguineti nell’allestimento firmato dall’esordiente Monica Conti

Testata
Il Giornale
Data
13 aprile 1989
Firma
Gastone Geron
Immagini
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I duecentocinquant'anni di Goethe, ancor prima del massimalistico impegno di Strehler con il «Faust» integrale, avevano suggerito al Centro teatrale bresciano un «Viaggio intorno a Goethe» cui aveva fatto da prologo l'«Urfaust» allestito da Masismo Castri seguito dal «Torquato Tasso» affidato alla regia di Cesare Lievi, recentemente succeduto al «leader» storico Renato Borsoni sulla poltrona della direzione artistica. Nella sconsacrata chiesetta di Santa Chiara, fortilizio dell'ex-Loggetta di Mina Mezzadri, l'ormai annoso viaggio è ora proseguito con «Faust, un travestimento» di Edoardo Sanguineti, nell'adattamento e con la regia dell'esordiente Monica Conti, da poco dipiomatasi alla Civica Scuola di Milano intitolata a Paolo Grassi.

L'incontro fra un poeta di proverbiale sperimentazione (nonché cattedratico di lunga milizia per qualche tempo impegnato sul versante della critica drammatica), con una giovanissima regista s'è risolto in uno spettacolo di raffinata reinvenzione, di provocante attualizzazione, di intelligente presa di distanza dal grande prototipo, pur fra qualche cedimento a causa della progressiva carenza trasfiguratrice.

Il copione di Sanguineti prende maliziosamente le mosse dall'irridente, autocritica, quanto approssimativa identificazione dello stesso autore nel personaggio di Faust, entrambi «egregi, illustri, chiarissismi, prof. e dott., magari maestri, madonna», versatissimi in psicologia dell'età involutiva, sociologia, semiotica, semantica, cibernetica, e chi più ne ha più ne metta, per infine riscoprirsi «poveri idioti e furbi come prima», esclusi dalle stanze dei bottoni e soprattutto dal traguardo della felicità.

La scenografia povera di Paolo Gallizioli, tutta giocata in profondità a ricreare l'astratta cornice di una sorta di palestra ginnica, più ancora che i «rockettari» costumi di Luigi Perego, trasferisce la vicenda dallo studio-laboratorio dello scienziato-negromante ad un neutro spazio degradato, ben lontano dal clima fiabesco del marionettistico Puppenspiel che fece da culla alla teatralizzazione del mito faustiano.

Con i suoi irriverenti, beffardi, capricciosissimi versi liberi, Sanguineti ripercorre un itinerario di spoliazione, più ancora che di travestimento, come suggerirebbe il titolo del suo lungo atto unico, che attualizza il patto famoso con Mefistofele e penetra nel versante sentimentale del controverso rapporto con Margherita-Greta, situandolo in un contesto odierno.

Il Faust di Sanguineti, in definitiva, tenta di dare senso alla realtà ricorrendo alla magia di un gioco linguistico che moltiplica all'infinito i travestimenti possibili, perdendosi in un labirinto di chi fatalmente smarrisce il filo di Arianna.

Lo sforzo registico della Conti - che si addossa altresì il ruolo marginale dell'amica di Greta - è tutto rivolto a conservare pienezza e plausibilità ai monologhi, più che dialoghi, con cui si confrontano le metafisiche attese di Faust e gli insinuanti-beffeggianti incantesimi di Mefistofele, questi giovandosi dei luciferini risvolti con cui gustosamente lo tratteggia Roberto Tririfò, l'altro affidandosi all'ambigua maschera di Claudio Bisio. Fra i due pretende spazio la passionale Greta di Paola Salvi costretta a empiti d'amore in un ridicolo costume marziano-pop in linea con l’evocato inferno delle discoteche.

Qualche concessione di troppo a reinvenzioni e modi linguistici echeggianti l'odierno «slang» giovanile infrenano qua e là i faustiani travestimenti tendenziosi, in debito con un'invenzione centrale capace di risvoltare altrimenti il ricalco goethiano.

Il folto pubblico assiepato sulla tribunetta del mini-teatro è stato alla fine generoso di consensi, con reiterate chiamate a interpreti, tecnici, regista e autore.

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