Giovanni Vittorio Pasquale, detto Micio

Si chiama Giovanni Vittorio Pasquale. Ma qual è il nome e quale il cognome? Dipende. Dipende da tanti fattori: scaglioni, aliquote Irpef, provenienza geografica dell’interlocutore, prima o seconda serata… e comunque, se c’è un ritorno d’immagine, si fa. Si fa cosa? Si fa, di farsi chiamare Micio. Dagli amici, soprattutto, che sono Er Crosta, Spaghettone, Caliendo, Rampino, Moggi, il Magro, uomini di sport, insomma. Mentre i nemici sono quei loschi figuri bui, tristi, vestiti di nero… i giudici.

Micio è un procuratore di calcio ma, dato che ormai il mercato è globale, gestisce anche ballerine, saltimbanchi, scimmie parlanti ventriloque (non sembra neanche che parlino loro). Un «Broadway Danny Rose de noantri», più malizioso del famoso personaggio creato da Woody Allen, ma non meno sfortunato. Ogni volta che transita da Roma, per esempio, non dimentica una visitina ai luoghi per lui più significativi: Cinecittà, Vaticano, Rebibbia…

Micio nasce dalla sagace penna di Walter Fontana e ha la faccia di Bisio, ma non i suoi capelli che invece sono lunghi, neri, a coda di cavallo. Dopo anni (il personaggio è nato per l’edizione 1997-98 di «Mai dire Gol») possiamo ormai confessare che l’ispirazione, dal punto di vista puramente estetico, ci è venuta dal mitico Franchino (ex manager di Fiorello e di Michelle Hunziker) che ora, purtroppo, si è tagliato i capelli.

Per quanto riguarda la commistione tra sport e spettacolo, grandi ispirazioni ci ha dato anche l’amico Maurizio Totti nel cui ufficio (nei primi anni Ottanta) si vedevano gironzolare calciatori di quasi primo piano quali Scarnecchia, Versa, Icardi e attori allora emergenti quali Abatantuono, Rossi… ma ancora oggi entrano ed escono dalle stesse stanze Polanski e Taricone; Gabriele Salvatores e Romina Power… potenza dello show-bizz!

Micio porta la cravatta nel taschino, l’orecchino e una dentatura da far invidia a Austin Powers. Nel retro del suo ufficio c’è una discoteca (o nel retro della discoteca c’è il suo ufficio?). È fantasioso, spregiudicato, egualitario (per lui un calciatore e una ballerina di lap-dance pari dignità hanno, e a volte li confonde pure, incrociandone curricula, agende e carriere). D’altronde, se Maradona aveva dettagliati tariffari per partecipare a matrimoni, battesimi, inaugurazioni di night, perché una lottatrice di catch nel fango non può giocare a calcio?

Inoltre Micio è un grande organizzatore di eventi sportivi: dalla famosa partita del cuore Chirurghi contro Procuratori di calcio giocata al PalaMicio (tensostruttura geodetica in equilibrio tra Panseca e Zanuso) ai Mondiali di Franci ’98 (Franci, una sua amica che ha una trattoria nell’Astigiano, campionessa mondiale di schiaccianoci… lei le schiaccia con i pettorali).

Infine la politica. Il nostro uomo di sport è ovviamente amico di tutti, ma essendo equilibrato, contro ogni estremismo, ha una naturale propensione verso i centristi dell’Udr (oggi si direbbe Udeur? … o Udc?) e vanta una particolare amicizia nei confronti di Cossiga: Micio produce il calendario dell’Udr e Cossiga ricambia scrivendogli la prefazione al book dell’agenzia, dedicato a un grande musical americano dal titolo suggestivo: «Facce di Cats».

Riprodotto per gentile concessione dell'editore e dell'autore

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I come Imbruglia

Imbruglia è un professore, un medico, un chirurgo, meglio: un luminare.

Ha i capelli bianchi di Di Bella, la spregiudicatezza di Sirchia (dopo la nomina a ministro), l’agilità di Cassius Clay (dopo la malattia). Indossa il camice bianco di certi neolaureati in medicina, ma anche di alcuni macellai il lunedì mattina, poco prima di sezionare un quarto di bue. Sostiene di avere ventotto anni (se così fosse, li porterebbe malissimo), ma forse è solo un segnale che non c’è più con la testa. Odia i modernismi: la fecondazione artificiale, i laser, i cerotti. È per i buoni vecchi metodi naturali, in primis il doping. Il buon vecchio doping che, se somministrato in dosi massicce, soprattutto ai giovani, aiuta a sopportare il freddo d’inverno, il caldo d’estate, il clima mite nelle mezze stagioni e, perché no?, a vincere qualche tappa della vita che – da che mondo è mondo, si sa – è una gara: con vincenti, perdenti e pochissimi pareggianti.

Assistito da una solerte segretaria, buonanima, circondato da una moltitudine di queruli pazienti, buonanime, e assediato dai suoi petulanti studenti, buonanime anche loro, è praticamente solo.

Ama i bambini, ma soprattutto le loro mamme, che non esita a definire «splendidi mammiferi».

In campo professionale vanta un curriculum di tutto rispetto: ha allenato la Nazionale femminile di atletica della Germania Est e tempo dopo quella maschile (che poi erano gli stessi atleti, dopo una cura intensiva a base di testosterone); ha brevettato lo Sputacchiol, cocktail di farmaci che fa crescere i capelli, sviluppa il seno, aumenta il Quoziente Intellettivo e come effetto collaterale provoca una gravidanza ultrarapida di due mesi, il famoso effetto Cepu (tre anni in uno), ottimo per le donne che non hanno tempo da perdere. Infine, constatato che le sale operatorie sono luoghi angusti, dove regna il disordine, il nostro luminare ha emanato un protocollo per la sicurezza, l’ordine e la pulizia: ogni attrezzo chirurgico, una volta usato, viene scientificamente riposto nella pancia di un paziente. Si evitano così quei tipici episodi di malasanità quali dimenticanze di attrezzi chirurgici nella pancia di un paziente.

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Mollacchia

Mollacchia nasce ancora dalla fervida mente del duo Fontana-Bisio, ma questa volta l’ispirazione arriva da un’altra bella testa: quella di Serena Dandini. L’occasione è «Teatro 18», cinque puntate su Italia Uno dedicate ad altrettanti big della canzone pop italiana che furono, in rigoroso ordine cronologico e non meritocratico: Ligabue, Jovanotti, Antonello Venditti, Max Pezzali e Patty Pravo.

Occorreva un esperto che introducesse e presentasse l’ospite; essendo Vincenzo Mollica impegnato in un’altra trasmissione musicale («Ratatatata»), si ripiegò su un suo clone: Mollacchia, che di nome non fa Vincenzo, ma Romolo e Remo.

I due sosia hanno in comune l’amore per il cinema e per il fumetto, oltre a quello per la musica; entrambi considerano dei miti sia Totò che Topolino; amano incondizionatamente sia la Cucinotta che la Bellucci, in poche parole considerano stupendo il novanta per cento del prodotto artistico mondiale. Si commuovono sinceramente per una filastrocca alla Sor Pampurio, si entusiasmano per un’interpretazione della Ferilli ma si eccitano anche per un semplice accavallamento di gambe della mitica Sharon Stone.

Uno «stroncatore all’incontrario», insomma. Un entusiasta. E dal momento che i suoi interventi si collocano a cavallo del secolo (le puntate di «Teatro 18» andarono in onda tra il 1999 e il 2000), il nostro critico acutamente osserva ogni volta che l’artista di cui parla ha magnificamente aperto e chiuso un millennio (e come negarlo?).

Ma il nostro Mollacchia vuole affrancarsi dal ruolo di cantore di peana senza capacità di discernimento. E allora, mentre tesse le lodi dell’ospite convenuto, lancia strali contro i più diretti rivali di quest’ultimo. Invertendoli, però. E così mentre innalza agli altari Guccini, getta nella polvere l’ospite Ligabue; mentre esalta Vasco Rossi, insulta Jovanotti fino a confondere Venditti con Totti, Pezzali con Repetto, Patty Pravo con la Puffetta (preferendo, ovviamente, la seconda). Un gaffeur, insomma. Ma di grande talento e cultura, con un’incredibile capacità di recupero e con innate doti da muro di gomma (in tutti i sensi), che gli fanno assorbire i giusti rimbrotti della Dandini, suo persecutore nonché «spalla di lusso».

È mirabile il suo urlo finale, quasi un grido di dolore e di rabbia, nei confronti del rutilante ma implacabile mondo dello spettacolo: «Io volevo lavorare in banca! Totò non mi ha mai fatto ridere. “La vita è bella” mi fa schifo!».

Riprodotto per gentile concessione dell'editore e dell'autore

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