Se Bisio fosse un po’ meno bravo, un po’ meno versatile, lavorare per lui sarebbe più facile. Si capirebbe meglio che cosa non funziona, nella parola scritta, dove il ritmo è meno efficace, dove la battuta si appanna. Perché è dagli errori che si impara, in questo come in ogni altro lavoro.
Bisio, invece, ha il difetto terribile di entrare nel testo con una naturalezza micidiale, di renderlo al pubblico come se gli uscisse di bocca in quel momento. La prima volta che lesse in teatro un mio racconto – un racconto tutt’altro che leggero, per giunta scritto per la pagina e non per essere recitato – mi impressionò la sua capacità di “dire” anche gli incisi, le parentesi, la punteggiatura, di rendere teatrali anche le divagazioni, le lungaggini, le riflessioni in margine alla trama.

Così, con una scelta mezzo pigra mezzo vile, quando si trattò di usare alcuni miei testi per “I bambini sono di sinistra” consegnai a lui e a Giorgio Gallione un pesantissimo faldone di ritagli: non sapevo scegliere, e trovai molto spiritosa la scelta di fare scegliere a loro. Bevendo un aperitivo davanti all’Archivolto sopportai volentieri gli affettuosi insulti dei miei due compagni di avventura, indignati della mia ignavia. Mi fecero pesare la parte di lavoro che avevo scaricato sulle loro spalle dandomi dello scansafatiche, ma dovessi tornare indietro ancora non saprei che cosa è davvero “adatto” a un attore capace di fare il brillante capocomico in televisione e recitare Pennac in teatro con la stessa normale/straordinaria naturalezza, di improvvisare il cazzeggio cabarettistico (che richiede una velocità di parola e di pensiero che sconfina nell’impudenza) e di cantare il De André più difficile e meno conosciuto, quello di “Storia di un impiegato”.

Questa esperienza mi fa dire di avere voglia di lavorare di nuovo con Claudio, e di farlo “per la prima volta”, cioè non fidandomi più della sua adattabilità alla parola, e neanche del mio ormai lungo repertorio. Sfidandolo, e sfidandomi, lungo le strade quasi inesauribili della sua curiosità e del suo talento di attore, chiedendomi se c’è qualcosa che NON potrebbe recitare, e se io sarei capace di scriverla. Anche come rivincita di questo primo match che – per colpa sua – è stato davvero troppo fortunato e agevole. E per scoprire fin dove può arrivare la sua allegria, e fin dove le sue repentine fughe dal comico, le sue prove di dramma, la sua voglia di sorprendere, quando si alza il sipario, gente che magari lo conosce solo come il virtuoso conduttore di Zelig, la migliore spalla che ogni comico (in genere molto meno bravo di lui) può incontrare in televisione.

Non gli conosco difetti particolari, se non quello di essere milanista e per questo (almeno in teoria) meno capace di intuire la malinconia interista (altra drammaturgia, altra classe…). Ecco, se vogliamo Bisio ha, del carattere milanista, quell’eccesso di esuberanza e di ottimismo che stride, o dovrebbe stridere, con le sfumature meno vistose dello humour, quelle che restano quasi sommerse nel non-detto. Non dico che vorrei coinvolgerlo, da interista, in un clamoroso fiasco teatrale. Ma insomma, rendergli un poco più difficile la vita… magari scrivergli un monologo con qualche passaggio zoppicante, con qualche oscura incertezza… anche se il maledetto, novantanove su cento, sarebbe capace di trasformarlo in qualcosa di spumeggiante, senza intoppi, liscio come è liscio Claudio quando sta in arcione alle parole come un surfista inaffondabile.