Panorama
di Antonella Piperno

Panorama

E io mi ribello
Lotta al politicamente corretto

No a cibi biologici, tecnologia esasperata, medicina alternativa, eterna bellezza, diktat antipellice… monta la rivolta al conformismo benpensante.


È una disobbedienza civile ancora alla fase embrionale. Ma molto determinata, trasversale e pronta a servirsi di armi satirche, politiche e letterarie. Nemici da aggredire: i diktat salutisti, consumisti, estetici e tecnologici che impongono di vivere in modo impeccabile. Ovviamente politically correct. Gli uomini machi, decisi e anche accuratamente palestrati. Le donne senza un capello fuori posto, guai a non rintuzzare la ricrescita grigia ogni due settimane; mai al di sopra del peso forma, attente a mettere nel carrello della spesa essenzialmente cibo “biologico” perché è sano, sì, ma anche perché fa status. Il fisico? Si rende elastico con la pilates, disciplina dittatrice in palestra. Il viso? A ringiovanirlo ci pensano le vitamine…
Imposizioni in scadenza, perché i diktat cominciano a scricchiolare. Qualcosa, di molto rivoluzionario, si muove: l’americana Anne Kreamer ha osato sfidare la dittatura giovanilista che impone alle donne, ottantenni comprese, di coprire i capelli bianchi con il suo bestseller Io non mi tingo, appena pubblicato in italia dalla Cairo, che esorta a ostentare con orgoglio i capelli grigi. Qualcuno ci aveva coraggiosamente pensato: in Francia sfoggia capelli sale e pepe Marie Sezner, 48 anni, ex modella di Lacroix e oggi manager della maison. In America, fra le attrici, Jamie Lee Curtis.
In Italia ci sono Rosy Bindi e anche la stilista Laura Biagiotti, che non tinge i suoi capelli da 24 anni: “Ho cominciato a imbiancare a 40 annie ho deciso subito che non li avrei mai toccati” racconta a Panorama “un po’ per sfuggire alla schiavitù del parrucchiere, un po’ per spinta femminista. Perché ammirare gli uomini brizzolati e disprezzare o compatire invece le donne?”. Adesso i tempi sono cambiati e i capelli grigi femminili si rispettano, perché è cambiata la loro rappresentazione, grazie al libro di Kreamer e anche al cinema, con Meryl Streep di Il diavolo veste Prada che con aggressiva capigliatura sale e pepe interpretava la temuta Miranda Priestly. Una che tra l’altro si nutriva a colpi di bistecche, snobbando bio e dintorni. Altro diktat del campo alimentare, oggi minacciato dall’umorismo.
Albertino Di Molfetta, che non si è lasciato sfuggire l’occasione biosatirica riservando una gag al suo alias Marco Rnzani, il mobiliere arricchito di Cantù cui dà voce e vita su Radio Deejay: quando manda la sua fidanzata a fare la spesa, Ranzani le raccomanda di comprare tutto al costoso scaffale bio, “per non rischiare di passare da barboni e perché ha sentito dire che fa figo enon certo per convinzioni salutiste”, scherza con Panorama Albertino, che non è il solo nel mondo dello spettacolo a ironizzare sull’obbedienza totale con cui in tanti decidono di affidarsi al bio.
Recentemente è sceso in campo Claudio Bisio che sul palco di Zelig ha preso di mira le madri fissate con l’alimentazione e la medicina alternativa, quelle che crescono i figli a colpi di “i granuli, ci vogliono i granuli da sciogliere sotto la lingua”, “ci vuole l’arnica”, “ci vuole il bio”. Il monologo era tratto da I bambini sono di sinistra che Giorgio Terruzzi, giornalista e autore teatrale, ha scritto con Michele Serra: “Non si tratta di una presa di posizione contro il bio o la medicina omeopatica, che sia io che Bisio abbiamo adottato in famiglia” chiarisce Terruzzi. Lo spunto satirico viene “dall’atteggiamento talebano con cui qualcuno obbedisce al diktat. Io ho tre figlie che nutro con principi salutisti, ma se stiamo viaggiando e a disposizione c’è solo un panino da autogrill, le sfamo con quello. Insomma, ci vuole un po’ di elasticità”.
Ben più rivoluzionario della coppia Bisio-Terruzzi a questo punto sembra il gesto liberatorio di Tom Cruise che, oppresso dalla tecnologia, si è disfatto dei suoi cellulari e perfino dell’indirizzo email. Perché il dotarsi di telefonini, Blackberry, computer, è un altro dei dogmi imperanti. Però adesso ha un nemico dichiarato, la Netdipendenza, prima onlus per la prevenzione del tecnostress, che con l’intervento del fondatore Enzo di Frenna, martedì 27 novembre a Milano, ha animato la conferenza Mobile work life: organizzata dall’Asseprim ha radunato lo stressato popolo degli “always on”, quello dei manager sempre connessi.
Missione della Netdipendenza: libera l’uomo (e la donna) “multitasking”, staccarli dal lavoro, magari, spiega Di Frenna a Panorama, “mettendoli in mutande e scarpette per la gara podistica No tecnostress, run che organizziamo ogni fine anno al lago di Bracciano”.
Anche Myspace.com, pieno di video amatoriali in cui impiegati stressati distruggono stampanti e computer, rivela una gran voglia di ribellione. Sentimento colto pure dalla Saatchi and Saatchi, agenzia pubblicitaria per promuovere la Valle d’Aosta si è appena inventato il My stress award concorso web che premierà (con una vacanza in Valle d’Aosta of course) la più pregnante videotestimonianza di stress psicologico.
Ribellioni che i sociologici non prendono sottogamba: “Sta emergendo una spinta a distinguersi, a smarcarsi dall’obbligo sociale a essere tecnologici, salutisti, soprattutto politically correct” insiste Mario Morcellini, preside di scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma. “Nel Sessantotto si combattevano gli autoritarismi, adesso le idee condivise. Ed essendo una ribellione alla fase iniziale, qualche volta può essere eccessiva”.
Accanto a chi distrugge virtualmente i computer c’è però chi cerca soluzioni più concrete: Fabio Falzea, direttore della divisione mobility della Microsoft, ha varato per i suoi dipendenti tecnostressati un “corso per l’uso consapevole dell’email”. Più radicale la scelta dell’americana Suze Orman, guru della consulenza finanziaria, che non tiene mai acceso il cellulare: “Nessuno può chiamarmi, telefono solo io. Visogna smettere di essere sempre agli ordini degli altri. È impossibile concentrarsi con tutti i telefoni che squillano”.
Dona tosta, almeno quanto la senatrice comunista Manuela Palermi, che sfidando il dogma animalista cui la sinistra ha sempre obbedito si è recentemente presentata in aula con un cappotto dal collo di pelliccia, facendo indignare la collega Loredana De Petris, le cui tesi da dura e pura non hanno convinto però la senatrice del Pd Anna Serafini (“l’importante è rappresentare sempre la propria personalità”), né la rifondarola Rina Gagliardi: “sono contraria alle pellicce ma non criminalizzerei. Niente dogmi, per favore, nella nostra storia ce ne sono già stati troppi”. Anche la dura e pura Angela Finocchiaro non disdegna un bel visone (di famiglia?).
Gesti e parole che lasceranno il segno nella politica. Ma che rispondono anche, a sentire Francesco morace, presidente dell’osservatorio Future concept lab, a un nuovo e più libero stile di vita: “Siamo arrivati a un punto di rottura, il consumatore si trasformerà presto in “consumautore”, cioè nell’autore dei propri consumi e dei propri stili”.
Insomma, pare che di questo passo torneremo a vestirci, mangiare, cucinare come più ci piace. Liberi di accompagnarci a uomini emotivi e poco machi, dissacrare il bio, snobbare le mode e farci crescere pure i capelli grigi.
Però bisognerà far attenzione a non prendere tutto alla lettera. Perché sarà anche vero che Helen Mirren alla cerimonia di consegna degli Oscar ha fieramente abbinato i suoi capelli bianchi all’abito da sera, rivelando poi di non aver indossato gli slip. Ma il binomio canizie-sex appeal, come sottolinea Carlo Rossella, presidente della Medusa e noto abiter elegantiarum, “vale per Miren e poche altre fortunate”. E obbedendo ciecamente ai nuovi antitrend si rischia forse di creare nuove obbedienze. A nuovi diktat.


6 Dicembre 2007